Cappella Sansevero e il Mistero dei misteri

di Michele Di Iorio

Un nuovo appuntamento con la storia dell’esoterismo iniziatico occidentale a Napoli, un viaggio che parte dalle origini, dal 680 a.C. fino ad oggi.

L’itinerario fa tappa a Cappella Sansevero o Pietatella, fondata nel 1590 dal patriarca di Alessandria d’Egitto Paolo de Sangro dei principi di Sansevero nel giardino del vicino Palazzo di piazza San Domenico Maggiore, costruito dieci anni prima, cui era collegata da un camminamento a ponte.

La Cappella fu poi restaurata secondo canoni ermetici tra il 1737 e il 1769 per volere di Raimondo de Sangro (1710-1771), alchimista, scrittore, studioso geniale, poliedrico scienziato, Gran Maestro della Massoneria, la cui affascinante figura ha fatto fiorire tante leggende.

Il pavimento della cappella risale appena al 1901: fu necessario sostituire del tutto quello settecentesco, che riportava lo schema di un labirinto, simbolo della ricerca della perfezione divina, distrutto nel 1889 in seguito all’allagamento causato da una rottura dell’acquedotto. Purtroppo insieme alla pavimentazione fatta realizzare da don Raimondo si perse anche la magia del suono che producevano i passi delle persone, che riproducevano le sette note musicali.

Cappella Sansevero era luogo di iniziazioni massoniche. L’adepto bendato era accompagnato dai servitori armati del principe attraverso il ponticello coperto – crollato nel 1889 – dall’appartamento della Fenice al primo piano del Palazzo e quindi introdotto in Cappella. Dalla sagrestia scendeva nella cripta della Fenice passando per lo scalone in pietra al centro della cappella, anch’esso scomparso: infatti oggi si accede all’ipogeo attraverso una scala a chiocciola in ferro. Anche l’attuale ingresso è frutto del restauro di inizio ‘900: si passa accanto la tomba di Raimondo, opera del pittore Francesco Maria Russo. In realtà questo artista non è mai esistito: il suo nome è l’anagramma di Fra Massoni Rosacruce, ovvero l’equipe di scultori e pittori – in gran parte iniziati – che lavorarono nella Cappella.

Ad angolo con la tomba di Raimondo – che peraltro non è mai stata occupata – si trova quella dell’antenato karmico Ferdinando de Sangro, morto cent’anni prima di lui. Qui è celato un altro passaggio che portava ai sotteranei.

Il neofita veniva quindi condotto all’acquasantiera a chiocciola, segno della dea Madre della Via Lattea, e si fermava davanti la statua del Decoro, simbolo di primo grado per apprendisti del Boaz e scorrevano poi dinanzi i simulacri degli avi del principe. Le effigi simboleggiavano il percorso dell’iniziato: per divenire adepto dei misteri maggiori dell’Arcana arcanorum doveva abbandonare i propri pregiudizi e il proprio sapere per concepire quello d’Egitto, ancora più arcano, rinascendo a nuova vita. Doveva rifiutare i piaceri terreni della ricchezza per assaporare la gioia della Scala di Napoli, rito nato nel 67 d.C. con la comunità egizia alessandrina.

Ii percorso iniziatico proseguiva fino alla statua della Pudicizia Velata dello scultore Corradini, dedicata a Iside madre universale dei Rosacroce e al mistero della doppia morte. L’adepto poi si inchinava all’altar maggiore, ai misteri della morte e rinascita del Dio vivente Gesù e dei suoi due angeli guardiani tra i glifi in pietra e misteri ancestrali, fino al Mistero dei misteri, la statua del Disinganno con la sua rete da pescatore marmorizzata, simbolo delle vanità umane da cui doveva liberarsi per intraprendere il cammino segreto da Atlantide in Africa risalendo il fiume Niger fino alle cateratte del Nilo e quindi a Napoli, porta nord dell’Egitto.

L’iniziato che bussava ai misteri maggiori dell’Arcana arcanorum guardava poi la volta della Cappella dove era raffigurata la Gloria del Paradiso con la Colomba dello Spirito Santo con il delta sacro o triangolo. Poi si genufletteva ai piedi della scultura di Giuseppe Sammartino del Cristo velato per morire sia fisicamente che mentalmente, rinascendo dai propri limiti. Veniva quindi profuso dalle arcane energie irradiate dai marmi della Cappella e dai raggi solari o lunari filtrati dai finestroni della volta che si incrociavano disegnando un esagramma.

Erano così pronti a ridiscendere in cripta per ammirare i due scheletri delle macchine anatomiche opera del medico Giuseppe Salerno e poi a risalire in sagrestia per guardare i sommi misteri finali del grado supremo dell’ Arcana arcanorum: la bianca sabbia prodotta dai vermi della mutazione alchemica e riflettere sul motto Fuit saltus ovvero mutato, trasformato.

A questo punto il rito iniziatico era terminato e l’adepto era pronto a tramandare la tradizione solare.

(Ph by Museo Cappella Sansevero, per gentile concessione)