Dal Largo Croce alla Chiesa di San Ciro: la storia parrocchiale di Portici
di Francesco Bartiromo
La storia parrocchiale di Portici ha origini molto antiche, ancor oggi è difficile trovare le tracce delle origini. Le testimonianze più remote risalgono al Seicento e portano nel cuore del centro storico della cittadina vesuviana, nella zona definita mercato.
Nella zona compresa tra la fine di via Arlotta e l’inizio di via Bellucci Sessa, vi è il Largo Croce che prende il nome proprio dalla croce posta in cima ad un obelisco di marmo che domina la piazzetta. L’obelisco non è altro che un monumento commemorativo di una vecchia chiesetta che era ubicata proprio in quella zona, la chiesa di Santa Maria delle Grazie che sorgeva in quel sito anticamente definito come il Trio (denominazione dalla ignota origine tutt’ora rimasta viva nella memoria degli abitanti locali), distrutta dalla devastante eruzione del Vesuvio del 1631 senza lasciare nessuna traccia.
Nonostante la presenza di quella piccola chiesetta la cittadina di Portici fino ai primi del Seicento non aveva ancora una locale parrocchia, i fedeli porticesi infatti si appoggiavano al santuario di Santa Maria di Pugliano nel comune di Resina, l’odierna Ercolano.
Verso il 1627 la crescente espansione urbanistica di Portici rese sempre più difficoltoso il lavoro dei sacerdoti della chiesa di Pugliano nella somministrazione dei santi sacramenti agli infermi e i moribondi. Così i cittadini porticesi, sentirono la necessita d’avere una propria parrocchia. Fecero così esplicita richiesta all’Arcivescovo di Napoli Francesco Boncompagni che acconsentì all’istituzione d’una autorità parrocchiale locale sancendo il conseguente distacco dalla curia della Chiesa Santa Maria di Pugliano, nonostante l’opposizione del parroco di Resina.
Fu così che la chiesetta di Santa Maria delle Grazie divenne parrocchia. Venne nominato parroco di Portici il sacerdote don Camillo Bosso, proveniente dalla vicina Resina, scelto dai porticesi fra una rosa di tre candidati.
Ma ben presto i porticesi si resero conto che la piccola chiesetta non era in grado di soddisfare le esigenze dei nuovi parrocchiani che non riuscivano a svolgere comodamente le funzioni ecclesiastiche per la vasta popolazione della cittadina. Così, con l’autorizzazione del Cardinale di Napoli, si decise di erigere un nuovo e più grande santuario intitolato alla Natività della Beata Vergine Maria proprio nei pressi della vecchia chiesetta.
Si erano appena innalzate le prime mura quando nel dicembre del 1631 vi fu una delle devastanti eruzioni del Vesuvio – forse la più terribile dopo quella del 79 d.C. – la cui attività sismica e vulcanica durò circa una ventina di giorni (prolungandosi fino ai primi di gennaio) e interessò tutti comuni vesuviani, Portici compresa, contando un numero complessivo di circa quattromila vittime.
La violenta attività vulcanica di quell’eruzione, cominciata con l’iniziale esplosione di colonne di gas e cenere, seguita da pioggia di lapilli e da successive valanghe di fango – non tutte le fonti concordano su una presunta colata di lava incandescente – ridisegnò completamente buona parte della geografia dei paesi della fascia vesuviana. A Portici le colate di fango che scesero verso il mare crearono l’attuale sito del Granatello, oltre a causare la totale distruzione della chiesetta di Santa Maria delle Grazie e di tutta l’area urbana circostante.
Terminato il cataclisma e passata la paura, i porticesi lentamente ripresero i lavori della costruzione della nuova chiesa, ma stavolta non più nel sito dov’era seppellita la vecchia chiesetta, ma più giù, nell’odierna piazza San Ciro.
Con uno sforzo economico collettivo – tutti i cittadini parteciparono con varie donazioni – i lavori cominciarono nel 1633 durarono una decina d’anni. Nel 1642 la nuova parrocchia venne aperta al pubblico e intitolata alla Nascita della Vergine Maria, come simbolo di una rinascita materiale e spirituale della comunità parrocchiale porticese.
Negli anni successivi, ad opera dei padri gesuiti tra i fedeli porticesi si andava diffondendo il culto di San Ciro, il Santo martire guaritore d’Alessandria d’Egitto che i napoletani veneravano già da molti secoli, le cui reliquie venivano custodite a Napoli nell’antica chiesa del Gesù Nuovo.
La progressiva diffusione del culto nel secolo successivo spinse i porticesi a eleggerlo come Santo Patrono, intitolandogli anche la chiesa che venne rinominata di Santa Maria della Natività e San Ciro nel 1776.
Nel corso dei secoli la parrocchia subì notevoli opere di ristrutturazione ed espansione, anche per via dell’importanza che acquisì la cittadina con la costruzione della nuova residenza estiva borbonica ad opera di re Carlo III. A metà del Settecento la chiesa venne ampliata e abbellita grazie all’opera dell’artista Domenico Antonio Vaccaro.
A metà dell’Ottocento vennero eseguiti ulteriori lavori di abbellimento della facciata con stucchi e finissime decorazioni, che proseguirono fin all’inizio del secolo successivo, terminando definitivamente nel 1929 con la costruzione dei due campanili e i tre portali in bronzo finemente lavorati.
Dell’antica chiesetta di Santa Maria delle Grazie, come già detto, non rimase più alcuna traccia, e neanche dei resti del sito circostante. Non sia ha alcun documento che la descriva, e nemmeno dell’agglomerato urbano ubicato in quel sito definito il Trio. Nemmeno si sa perché quest’area è definita come il Trio e non il “quadrivio”, dato che da ambedue le estremità son sempre quattro le strade che si incrociano: da un lato con via Marconi-via Giordano-via Poli e via Arlotta, dall’altro lato con via Arlotta-via Immacolata-via della Torre-via Bellucci Sessa.
Si sa che quel sito rappresentava una importante via di comunicazione della cittadina porticese, poiché pare che l’antica Via regia delle Calabrie, l’odierno corso Garibaldi, che collegava Napoli a Portici, subiva una deviazione proprio all’altezza di via Giordano, seguendo così un itinerario che portava all’antica chiesetta di Santa Maria delle Grazie, seguendo un itinerario lungo le attuali vie del mercato. Ciò è evidenziato da alcune antiche cartine topografiche secondo le quali l’ultimo tratto dell’attuale corso Garibaldi che porta all’odierna piazza San Ciro prima non esisteva. Ancora oggi lungo il corso Garibaldi, ad angolo con via Giordano, è visibile sul muro un manufatto in bassorilievo con le insegne dell’antica via regia a testimonianza di quella deviazione.
Pare che proprio in seguito all’eruzione del 1631 venne aperta la nuova strada, prolungamento della Regia via delle Calabrie, che portava verso la piazza del nuovo santuario di San Ciro, lungo la quale venne posto l’epitaffio commemorativo della terribile eruzione, attualmente incastonato nel Palazzo Ruffo di Bagnara ad angolo con via Gianturco.
Secondo alcune testimonianze il sottosuolo di tutta l’area centrale del quartiere mercato di Portici sarebbe attraversato da diversi cunicoli e gallerie, forse un tempo collegate tra loro in tutta l’area compresa tra la Chiesa dell’Immacolata, ubicata in basso all’omonima via, e il Largo Croce. Questi cunicoli, inaccessibili al pubblico perché inglobati in proprietà private ad uso cantina, presenterebbero con buona probabilità segni geologici dell’eruzione vulcanica e forse anche alcune tracce delle antiche fondamenta risalenti all’epoca romana.
Oggi il sito del Largo Croce non conserva più nulla dell’antico agglomerato urbano del Trio: unica testimonianza è l’obelisco della Croce commemorativa della vecchia chiesetta distrutta dall’eruzione del 1631. Posto nel cuore delle attività commerciali del mercato, assediato dalle bancarelle degli ambulanti, quasi a sorvegliare il vasto “tesoro nascosto” nel sottosuolo porticese.