Eduardo Scarpetta, padre del moderno teatro comico napoletano

Eduardo Scarpetta

 

di Francesco Bartiromo

163 anni fa nasceva a Napoli Eduardo Scarpetta, precisamente il 13 marzo del 1853, il grande commediografo autore della famosissima Miseria e nobiltà, considerato in ogni senso padre della moderna commedia napoletana a cui tutti si sono ispirati, da Eduardo De Filippo a Totò.

Creatore del teatro dialettale moderno, genere ancora attuale, si specializzò nell’adattare la lingua napoletana in moltissime pochade francesi mantenendo sempre l’originalità delle sue personali opere.

Figlio di Domenico Scarpetta, funzionario borbonico, e di Emilia Rendine era il terzo di quattro figli. Dei primi due, Enrico e Giulia, non si hanno notizie concrete mentre la sorella minore Ermenegilda (detta Gilda) lo seguì nella sua carriera teatrale. Il padre tentò di avviarlo alla professione di funzionario, ma già in tenera età il piccolo Eduardo mostrava uno spiccato interesse per l’arte della commedia: fin da piccolo si divertiva a mettere in scena un rudimentale teatrino di burattini di pezza, coinvolgendo la sorellina Gilda.

Un giorno il padre Domenico assecondò la passione del figlio portandolo con se al teatro San Carlino dove si rappresentava la recita pomeridiana della compagnia di Antonio Petito, il più famoso interprete di Pulcinella della storia del teatro napoletano. Seppur tubato da quella “cupa” maschera nera dal volto rugoso e il naso ricurvo, quell’episodio ispirò fortemente il desiderio del piccolo Eduardo nel diventare un attore teatrale. Fu così che, abbandonando i pupi, cominciò a proporsi presso compagnie locali venendo scritturato in piccoli ruoli.

Con la prematura morte del padre Domenicpo, la famiglia Scarpetta attraversò un duro periodo di crisi economica, costretti a cambiare più volte dimora per via dello sfratto forzato dalla casa natia di via Santa Brigida. Fu proprio durante questo lungo peregrinare che un bel giorno lasciarono anche una casa in zona via Salute perché la madre Emilia fu impressionata da presunte “presenze ultraterrene” identificate culturalmente come il munaciello. E pare che fu proprio questo racconto ad aver successivamente ispirato Eduardo De Filippo nella creazione della sceneggiatura di Questi fantasmi.

All’età di 14 anni, ingaggiato dall’impresario Salvatore Mormone, recitò al teatro San Carlino nella commedia Cuntiente e guaje, dove interpretava il ruolo di un fattorino che aveva soltanto due o tre battute, riuscendo ugualmente a farsi notare per il suo giovane talento riscuotendo le simpatie del pubblico e dei colleghi.

Da allora si aprì per lui una strada ricca di soddisfazioni, aumentando sempre più la sua popolarità assumendo di volta in volta ruoli sempre più importanti nelle compagnie teatrali napoletane. Fu così che dopo un po’ di tempo lo stesso Antonio Petito decise di ingaggiarlo creando su misura per lui il personaggio di Felice Sciosciammocca che affiancava Pulcinella nelle sue bizzarre avventure. Tra le più celebri scritte da Petito ricordiamo Feliciello mariuolo de ‘na pizza e Felice Sciosciammocca creduto guaglione ‘e n’anno.

Il personaggio creato da Petito, quel Felice Sciosciammocca un po’ allocco, un po’ svampito, sempre intento a cercar di districarsi da una serie di equivoci e di guai nei quali veniva immancabilmente a trovarsi, si adattava perfettamente alla personalità di Eduardo Scarpetta, ma fu proprio Eduardo a conferirgli le caratteristiche di personaggio a tutto tondo che negli anni gli tributarono tanto successo. Don Felice cominciò ad essere conteso da tutti gli impresari di Napoli conseguendo un successo dopo l’altro e conquistandosi i favori del pubblico e della critica.

Seppur all’epoca la paga per un attore era alquanto misera soldo dopo soldo, recita dopo recita, Eduardo Scarpetta riuscì ugualmente a mettere da parte una somma tale da permettergli il grande passo: mettere su una compagnia tutta sua.

Infatti dopo la morte di Petito cominciò un duro periodo di crisi economica per il San Carlino culminato con la chiusura del teatro. Fu così che Eduardo, stanco del continuo girovagare da una compagnia all’altra, da un teatro all’altro, sentì sempre più forte il bisogno di una stabilità. Decise così di rilevare e rimettere completamente a nuovo il teatro San Carlino, con un notevole sforzo economico supportato anche da un prestito di cinquemila lire da parte dell’avvocato Francesco Severo.

Così nel settembre del 1880 Eduardo Scarpetta riaprì lo storico teatro di Piazza Castello completamente rinnovato nell’aspetto e nel repertorio, decretando la definitiva consacrazione del grande commediografo e della sua compagnia.

Scarpetta riuscì ad interpretare i nuovi gusti del pubblico che nel frattempo erano cambiati. La gente voleva ridere, si, ma in modo diverso. Il repertorio della tradizione napoletana era diventato obsoleto e gli intrecci troppo ingenui, legati com’erano a quell’epoca romantica ormai in declino.

Eduardo cominciò così a scrivere commedie brillanti ispirandosi ai vaudevilles della belle epoque molto diffuse in Francia. Ma le sue non erano semplici traduzioni dal francese al napoletano, ma complete riletture della sceneggiatura che lasciavano intravedere solo l’intreccio dell’originale. I caratteri, le battute, erano completamente reinventati dalla feconda fantasia di Scarpetta che sapeva cogliere le nuove esigenze del pubblico moderno.

Da quel primo debutto al San Carlino iniziò per Eduardo Scarpetta la grande scalata che avrebbe definitivamente suggellato la sua fama. Per più di cinquant’anni calcò le scene dei più grandi teatri italiani, inventando un nuovo modo di far ridere.

Iniziò così una stagione di grandi successi, che lo portano ben presto a diventare un idolo, capocomico di successo, sebbene nato da una famiglia modesta. Il successo non l’abbandonò mai e della sua città diventò “il re borghese”, colui che era capace di tutto e da cui c’era da aspettarsi qualsiasi “pazzaria”. Potere, denaro, fama ed il suo innato ottimismo lo accompagnarono per sempre.

Grazie alle fortune accumulate si fece costruire sulla collina del vomero un sfarzoso palazzo a due piani, la villa La Santarella – sulla cui facciata ancora oggi si legge la scritta «Qui rido io! » . nome ispirato ad una delle sue più acclamate commedie: ‘Na Santarella,  portata in scena per la prima volta al Teatro Sannazzaro nel 1889 che ottenne incassi eccezionali.

La sua più celebre commedia è Miseria e nobiltà, scritta nel 1887 appositamente per far recitare il figlio Vincenzo, nato dal matrimonio con Rosa De Filippo, nel ruolo di Peppeniello.

Ebbe una vita familiare alquanto “movimentata”, caratterizzata da diverse relazioni da cui ebbe molti figli, la maggior parte illegittimi. Tale aspetto alimentò molte maldicenze sulla sua vita privata, sulla sua sessualità morbosa e, per molti, immorale. Già il suo primo matrimonio con Rosa De Filippo nel 1876 fu segnato da pettegolezzi per via di una presunta relazione segreta di quest’ultima col re Vittorio Emanuele II dalla cui avrebbe concepito il figlio Domenico, nato a sette mesi, regolarmente riconosciuto da Scarpetta.

Successivamente intrecciò una relazione con la nipote di costei, Luisa De Filippo, da cui ebbe Titina, Eduardo e Peppino De Filippo, la sua più famosa progenie, che presero il cognome della madre Luisa, nipote di Rosa in quanto figlia del fratello Luca.

Oltre questi tre De Filippo ve ne erano altri due: un altro Eduardo (che assumerà il nome d’arte Eduardo Passarelli) e Pasquale, figli di una sorellastra di Rosa, Anna, nata dal secondo matrimonio del padre di Rosa, appunto Pasquale De Filippo. Dalla relazione con Anna De Filippo ebbe inoltre Ernesto Murolo (1876-1939), poeta, autore drammatico e musicista padre del famoso cantante napoletano Roberto Murolo.

Questo particolare aspetto della vita privata di Scarpetta, da molti condannato, non intaccò la sua popolarità, inoltre Eduardo non fece mancare nulla di ciò che poteva servire alla crescita e alla educazione di tutta la sua prole, e pare che la stessa donna Rosa nutriva un affetto quasi materno per tutti quei piccoli figliastri, così come lo stesso unico legittimo figlio Vincenzo nutriva molto affetto per i suoi fratellastri.

Eduardo Scarpetta si identificava pienamente nel suo alter ego Felice Sciosciammocca, mondano donnaiolo amante della bella vita. L’esser comico era il suo modo di intendere la vita, affrontata sempre con esilarante ironia. I suoi divertenti aneddoti non si contano, come quando un giorno, durante una passeggiata in carrozzella, disse al suo cocchiere Pasquale di fermarsi un attimo per permettergli di espletare un suo urgente bisogno fisiologico, inconveniente alquanto frequente per via di una sua patologia renale. Venne sorpreso in fragrante da una guardia municipale che, pur riconoscendolo,  non esitò ad elevargli una multa di due lire per oltraggio al pudore. A nulla valsero le proteste di Eduardo nel tentativo di giustificare il suo “problema clinico”, così tirò fuori dalla tasca una banconota di cinque lire, e costatando che la guardia non era in grado di dargli il resto non trovò di meglio che rivolgersi al suo cocchiere dicendo: «Pasquà, scendi e fa pure tu! ».

Eccentrico, brillante  ma mai arrogante, era adorato dal popolo per la sua semplicità e benevolenza. Sempre sfarzose erano le sue feste organizzate alla villa La Santarella, culminanti quasi sempre in una spettacolare esibizione di fuochi d’artificio, Inoltre fu artefice della fondazione del Teatro Salone Margherita, il primo grande varietà napoletano cafè-chantant, costruito nei sotterranei della nuova Galleria Umberto I.

Non mancarono però polemiche e controversie legali che minarono la sua serenità. La causa più clamorosa fu quella per Il figlio di Jorio, dove la parte di antagonista fu di Gabriele D’Annunzio.  Il celebre poeta trascinò Scarpetta in aula di tribunale con l’accusa di plagio: Eduardo, infatti, aveva preso spunto dal capolavoro dannunziano La figlia di Jorio per scrivere la parodia Il figlio di Jorio, chiedendo al Vte immaginifico il permesso, in principio pienamente accordatogli.

La controversia legale finì con la totale assoluzione di Eduardo Scarpetta, ma la vittoria oggettiva però non risparmiò a Eduardo una sconfitta intima: comprese che dopo cinquant’anni di teatro le esigenze ed i gusti del pubblico erano nuovamente cambiati e che un’epoca era ormai al tramonto. La sentenza di assoluzione, disse infatti, si era trattata di una « … parodia, riuscita male, ma pur sempre parodia».

Colto da un malinconico velo di depressione Scarpetta man mano si ritirò dalle scene. Scrisse un ultimo capolavoro, ‘O miedeco de’ pazze, partecipò a qualche altro spettacolo della compagnia del figlio Vincenzo, collaborò con Rocco Galdieri alla scrittura delle prime riviste d’avanspettacolo, fin quando si spense, all’età di 72 anni, il 23 novembre del 1925.

Le sue esequie furono imponenti: venne imbalsamato e deposto in una bara di cristallo per poter essere salutato da tutta la popolazione napoletana.

Le sue commedie sono rimaste eterne, riprese dai più famosi attori dell’epoca, in primis lo stesso figlio Eduardo De Filippo che portò più volte in scena Miseria e nobiltà ove debuttò, nel ruolo di Peppeniello, il figlio Luca.

Numerose furono le trasposizioni cinematografiche delle sue opere, prime su tutte quelle rese celebri da Totò che assieme al regista Mario Mattoli portò davanti alle cineprese, oltre alla celebre Miserie e Nobiltà, anche Un turco napoletano e ‘O miedeco de’ pazze.

Lo stesso Scarpetta si cimentò in primordiali rappresentazioni cinematografiche mute agli albori della “settima arte” all’inizio del Novecento. Purtroppo rimane ben poco di tali pellicole, se non alcuni spezzoni deteriorati, e nemmeno esiste alcun supporto audio che abbia mai registrato la voce del grande attore, capostipite di tutti i grandi comici napoletani.

Le esequie di Scarpetta
Le esequie di Scarpetta