Giordano Bruno, il grande filosofo nolano

di Michele Di Iorio

 

Vi sono poche notizie sulla vita e sulla giovinezza di Giordano Bruno, al secolo Filippo de’ Bruni. Frate dell’ordine dei domenicani, filosofo, nacque a Nola nel 1548 e morì a Roma nel 1600. Sospettato di eresia, lasciò il saio. A fasi alterne cambiò più di una volta religione e riprese l’abito monacale.

Informazioni scarse, dunque: qualche notizia in più si apprende dalle carte del processo che subì da parte dell’Inquisizione, fornita dallo stesso filosofo.

Nato nel 1548 a Nola, a 30 km da Napoli e 16 da Pomigliano d’Arco, e qui allevato, precisamente nella contrada di San Giovanni del Cesco, ai piedi del monte Cicala, nel territorio del Regno di Napoli, fu battezzato con il nome di Filippo, in onore dell’erede al trono di Spagna Filippo II d’Asburgo.  Unico figlio io dell’alfiere di cavalleria Giovanni e di Fraulissa Savolina, ricorda con affetto la sua modesta casa – che oggi non esiste più – natale tra gli ulivi e l’amenissimo monte Cicala, vicino le rovine del Castello Orsini  del XII secolo.

Suo primo insegnante fu un prete, Giandomenico de Iannello, poi seguì studi di grammatica nella scuola nolana di Bartolo di Aloia. A 14 anni entrò di sua volontà nell’ordine monastico domenicano, rinunciando al nome Filippo: prese il nome di Giordano in onore del beato Giordano di Sassonia, successore di  san Domenico e suo maestro di metafisica.

Entrò dunque nel convento san Domenico Maggiore di Napoli nel 1562 e fu ammesso novizio solo il 15 giugno 1565, a 17 anni. Continuò gli studi alla facoltà di Lettere e Filosofia all’Università di Napoli, approfondendo logica e dialettica con il Sanese, ovvero con  Giovan Vincenzo del Colle, aristotelico di scuola averroistica e kabalista della famosa scuola di Capua dell’Abulafia, che diede al suo allievo la formazione antiumanistica e antifilologica. Suo docente fu anche Teofilo  da Vairano, già maestro di Guglielmo Coti, famoso bibliotecario dell’Università di Parigi. Si esercitò con la lettura del trattato “Phoenix seu”, artificiosa memoria del 1492 di Pietro Tomae, detto il Ravennate.

Dopo il 1269,  periodo in cui fu docente san Tommaso d’Aquino,  l’Università di Napoli dal 1515 al 1615 aveva avuto nuovamente sede nel cortile di San Domenico Maggiore. In questo lasso di tempo le lezioni si erano tenute nel cortile del Palazzo dei principi Caracciolo di Avellino in via Anticaglia e poi in via San Giuseppe dei Rufi.

Giordano Bruno si laureò il 16 giugno 1566, a diciotto anni.  Affermò di essere entrato nell’ordine domenicano più per interesse per la Filosofia e le Lettere e per la potenza dell’abito che per vocazione religiosa. Infatti si mostrò distante dai monaci confratelli, poco istruiti e spesso dediti ad una vita dissoluta.

Nel chiuso della sua cella monastica  si disfece delle immagini dei santi in suo possesso conservando solo il Crocifisso. Addirittura invitò un novizio, nel 1567, a gettar via il libro devozionale “Historia delle 7 allegrezze della Madonna” stampato a Firenze nel 1551 con perifrasi in latino di Bernardo di Chiaravalle, sostituendolo con lo studio della “Vita dei santi padri” di fra Domenico Cavalca. Questi atti non comportarono punizioni per Giordano Bruno, tanto che nel 1569 riuscì a completare gli studi di Teologia.

Fu anche presentato dal cardinale Scipione Rebiba a papa Pio IV. A Roma divenne suddiacono e un anno dopo diacono. Venne ordinato sacerdote nel 1573  e quindi incaricato di dire messa alla chiesa di San Bartolomeo a Campagna d’Eboli, Salerno, dei nobili Grimaldi,  gli attuali principi di Monaco.

Continuò gli studi di teologia all’Università di Napoli, rincontrando il priore domenicano Ambrogio Pasca. Studiò sui tomi della ricca biblioteca, ove vi erano anche i libri all’indice di Erasmo da Rotterdam, Ricorrendo inoltre ai librai napoletani, Bruno si procurò anche i testi di Aristotele, di san Tommaso d’Aquino, di san Gerolamo, di san Giovanni Crisostomo, di Marsilio Ficino, di Raimondo  Lullo, di Nicola Cusano e dei grandi pensatori rosacruciani inglesi, tedeschi e di Praga. Lesse inoltre trattati di alchimia, spagiria, kabbala, meditando sui Templari, sugli Egizi, sul Santo Graal. Si fermava spesso nella sagrestia  a meditare sulle tombe dei re aragonesi.

Nel 1575 si laureò in Teologia. Scrisse una commedia satirica sulla dissolutezza di un alquanto ipotetico confratello. Prese ad insegnare ai novizi nel chiostro e nel cortile di san Domenico Maggiore, all’aria aperta come erano usi fare Aristotele e Platone.

Nel 1576, discutendo di arianesimo con il confratello Agostino da Montalcino manifestò la sua indipendenza di pensiero e la sua insofferenza verso i dogmi cattolici, sostenendo che le opinioni di Ario erano meno pericolose di quel che si ritiene: il teologo berbero asseriva che il  «… Verbo non era creatore né creaturama medio intra il creatore … le creature, non dal quale ma per il quale è stato creato ogni cosa».

Agostino rimase scandalizzato è lo denunciò al padre provinciale Domenico Viola: venne subito istituito un processo per eresia. La sua cella fu perquisita: vi trovarono i libri all’indice.

Avvertito da un novizio a lui fedele, Giordano Bruno non tornò in convento e scendendo per via Mezzocannone si recò al porto dove s’imbarcò per Terracina, chiedendo ospitalità ai domenicani di Roma.

Poco dopo andò a Civitavecchia da dove si diresse  verso la repubblica indipendente di Genova, ospite della chiesa di Santa Maria a Castello, dove, con suo grande scandalo, veniva adorata come sacra reliquia la coda dell’asino che porto Gesù a Gerusalemme. Esternata la sua indignazione, per prudenza si trasferì a Noli, Savona, dove rimase per 5 anni ad insegnare grammatica e cosmografia.

Abbandonò il saio nel 1576. In cerca di lavoro, un anno dopo si spostò a Torino e navigando il Po arrivò a Venezia, ove stampò una prima opera minore. A causa dell’epidemia di peste riparò a Padova. Consigliato dai monaci locali riprese l’abito domenicano: non trovando un lavoro stabile doveva pur sopravvivere.

Giordano Bruno alla fine del 1577 si spostò nel convento di Brescia, dove guarì un monaco teologo sospettato di essere posseduto dal demonio. Passò dunque a Bergamo e poi a Milano e Torino. Trascorse l’inverno del 1578 nel convento di Chambery, in Savoia.

Nel 1578 si recò a Ginevra, dove era presente una colonia di italiani. Qui trovò lavoro come correttore di bozze di libri  grazie al marchese calvinista napoletano Galeazzo Caracciolo, che fuggito dal Regno aveva fondato una comunità di calvinisti ed evangelisti.

Il filosofo nolano depose nuovamente il saio e abbracciò la fede calvinista. Entrò in contrasto durante una lezione con il professore di Filosofia Antoine de la Faye, che definì cattivo insegnante. Bollati i pastori calvinisti come pedagoghi. venne arrestato dalla gendarmeria, fu processato per diffamazione e scomunicato dalla religione calvinista. Si rifugiò in Francia, a Lione, per poi passare a Tolosa in Provenza.

In Francia Bruno ebbe il suo periodo più fertile come autore di trattati filosofici. Poi andò a Londra, dove si fece molti nemici, per cui riparò nuovamente in Francia. Passato in Germania, venne invitato dal nobile Giovanni Mocenigo nella repubblica indipendente di Venezia. Denunciato nel 12592 dallo stesso Mocenigo per eresia, subì un processo il cui esito sembrò dapprima favorevole all’imputato. Il Sant’Uffizio chiese però l’estradizione. Ottenutola imprigionò il filosofo nolano.

Dopo un processo durato sette anni, Giordano Bruno venne condannato e mandato al rogo il 17 febbraio 1600, martire per il libero pensiero, vittima dell’intolleranza religiosa.