Il culto di San Ciro a Portici
di Francesco Bartiromo
Il culto del santo èpatrono della Città di Portici ha origini molto antiche, che si perdono nelle remote province romane del Nordafrica, al tempo delle persecuzioni dei cristiani.
Ciro nacque ad Alessandria d’Egitto nel III secolo d.C. intorno all’anno 250 da una famiglia cristiana. Il suo nome deriva dal greco antico Kyros, dal persiano Korush, che significa “lungimirante”.
Si avviò alla professione di medico studiando ad una celebre scuola di medicina di Alessandria, e aprì un suo personale ambulatorio nel quartiere di Doryzim.
Ciro accoglieva gli ammalati curandoli senza pretendere denaro, offrendo le sue prestazioni gratuitamente, tanto da guadagnarsi l’appellativo di anargyros (in lingua greca “senza denaro”) e fu proprio in quel periodo che contribuì a convertire molti pagani al cristianesimo, incitando gli ammalati a trovare conforto nella fede e nella preghiera, oltre che nella medicina, risanando così anche le ferite dello spirito.
Intanto nel IV secolo si abbatteva sul cristianesimo una delle più feroci persecuzioni della storia dell’impero romano ad opera dell’imperatore Diocleziano, che condusse tale repressione con estrema crudeltà autorizzando torture d’ogni genere in tutte le regioni dell’impero, dalla penisola italica alle provincie del Nordafrica. Data l’entità di questa politica di repressione questo periodo storico è ricordato come “l’era dei santi martiri”.
In Alessandria d’Egitto vennero perseguitati in particolar modo coloro che praticavano arti mediche senza autorizzazione imperiale: i medici alessandrini venivano accusati di stregoneria e di cospirazione.
Per questa ragione Ciro si vide costretto a rifugiarsi nel deserto seguito dal suo fedele discepolo e aiutante Giovanni, un giovane soldato siriano di nobile famiglia che decise di unirsi a Ciro dopo averne conosciuto la fama di guaritore durante un pellegrinaggio a Gerusalemme.
Durante il suo esilio nel deserto Ciro mutò considerevolmente la sua attività, facendo vita monastica e dedicandosi alla preghiera e alla meditazione. Smise di esercitare la professione di medico ma non smise di aiutare il prossimo, dedicandosi più alla cura dello spirito attraverso gli insegnamenti della confessione cristiana, piuttosto che con l’uso di erbe curative.
Intanto la dura persecuzione che si diffondeva con crescente ferocia nella città di Alessandria ad opera del crudele governatore d’Egitto Massimo spinse Ciro e il suo fedele Giovanni a rientrare in città per assistere i fedeli perseguitati, tra cui tre giovani fanciulle, Eudossia, Teoctista e Teodora, che vennero arrestate assieme alla loro madre Atanasia con la semplice accusa d’essere cristiane.
Fu proprio in quella occasione che avvenne il martirio di Ciro e Giovanni: il governatore accortosi della loro presenza li fece imprigionare tentando inizialmente di corromperli, ma di fronte alla loro fermezza decise poi di sottoporli ad ogni genere di supplizio mandandoli infine a morte per decapitazione. E la stessa crudele sorte toccò anche alle quattro povere donne. Ciò avvenne il 31 gennaio del 312 d.C. circa, ricordato nella storia del cristianesimo come il giorno del martirio di San Ciro.
I loro corpi furono sepolti ad Alessandria nella Basilica di San Marco Evangelista, dove rimasero per circa un secolo venerati dal popolo cristiano come grandi taumaturghi.
Nel secolo successivo, nel V d.C., le spoglie di Ciro e Giovanni vennero trasportate nella vicina cittadina di Menuthis ove venne appositamente costruito un tempio cristiano per perpetuare la memoria del santo guaritore. Grazie alla sua fama accorrevano fedeli da tutte le provincie vicine, che venivano ad invocare protezione e guarigioni dalle più svariate malattie, che a volte avvenivano in maniera miracolosa. La principale pratica devozionale era quella di dormire distesi sul pavimento del tempio e attendere, durante il sonno, l’apparizione di San Ciro che indicava i rimedi ai loro mali.
Con l’invasione araba, verso la metà del VII secolo, il tempio andò in rovina, ma il ricordo di San Ciro non venne dimenticato, infatti ancora oggi l’intera regione dove si svolsero i miracoli e il martirio del Santo viene chiamata dagli arabi Abou-kir, in memoria dell’ “abate Ciro”.
Intanto i pescatori del Mediterraneo diffusero il culto di San Ciro nella penisola italica da Napoli fino a Roma, e proprio nella capitale romana vennero trasportate le spoglie dei due martiri nel X secolo grazie ai monaci Grimaldo e Arnolfo, che eressero una basilica appositamente dedicata a loro, la Basilica dell’Abbàs Cyrus (“padre Ciro”), l’attuale chiesa di “Santa Passera” – tutt’ora esistente seppur fatiscente – situata nel quartiere romano Portuense.
Secoli dopo, circa nel 1600, le spoglie di San Ciro furono trasferite a Napoli. Nel capoluogo campano Ciro era venerato già da secoli grazie alla presenza di una folta colonia di mercanti alessandrini, così il cardinale Frencesco Sforza si adoperò per accogliere in città le spoglie del santo collocandole nella chiesa del Gesù Nuovo.
Ad opera dei padri gesuiti il culto di San Ciro si diffuse progressivamente durante il XVII secolo anche nella vicina cittadina di Portici, ove dimoravano da anni, probabilmente grazie al missionario padre Francesco De Geronimo. Il sacerdote già da tempo andava girando nei i paesi delle province meridionali per diffondere il culto del martire di Alessandria, e così nelle sue svariate visite ai confratelli della cittadina vesuviana ebbe occasione di raccontare ai fedeli porticesi la storia del “santo guaritore”, esortandoli ad invocare la sua intercessione per ottenere la grazia di Dio.
Fu però nel XVIII che la diffusione del culto di San Ciro ebbe un fortissimo impulso: accadde precisamente nel 1764 quando la diffusa piaga della carestia che segnò tutto il Paese colpì anche Portici. Così i fedeli, esortati dal parroco Don Giuseppe Moscatelli, invocarono l’intervento miracoloso del santo guaritore. In segno della loro gratitudine chiesero alle locali autorità ecclesiastiche di ricevere in dono una reliquia del Santo. Ottenuto il benestare dalla chiesa del Gesù Nuovo di Napoli furono portati a Portici alcuni pezzi del cranio di San Ciro e depositati all’interno di una teca posta all’interno della locale Parrocchia di Santa Maria della Natività.
Il santo guaritore di Alessandria era oramai veneratissimo nella cittadina porticese, così grazie alle generose offerte in danaro raccolte tra i devoti del Santo venne eretta una statua lignea di San Ciro, eseguita dallo scultore Ferdinando Sperandeo, e posta sulla sommità dell’altare della cappella dedicata al Santo, collocata in fondo alla navata di sinistra, che riporta anche la teca contenente le reliquie di San Ciro.
Secondo alcune leggende locali pare che lo scultore ebbe serie difficoltà nel raffigurare l’effige del santo alessandrino. Così capitò che durante un pernottamento nella chiesa gli apparve in sogno San Ciro stesso. Fu dunque grazie a questo evento prodigioso che Sperandeo riuscì finalmente a trovare l’ispirazione giusta per raffigurare il Santo, ultimando così la scultura.
Successivamente il parroco Moscatelli, sostenuto dal desiderio collettivo del popolo porticese, richiese e ottenne l’approvazione dalla competente autorità ecclesiastica di nominare San Ciro come santo patrono ufficiale di Portici, approvazione che avvenne nel 1776 ad opera di papa Pio VI. Così la storica Chiesa di Santa Maria della Natività venne dedicata anche San Ciro martire d’Alessandria, come l’adiacente piazza che tutt’ora porta il suo nome.
Da allora il culto di San Ciro non s’è mai spento, e sono molte le leggende, anche più recenti del secolo scorso, che parlano di guarigioni miracolose avvenute ad opera dei poteri taumaturgici del santo guaritore.