Il doppiaggio, specialità italiana nata in America – seconda e ultima parte
di Francesco Bartiromo
Il 5 ottobre del 1930 al Supercinema di Roma venne proiettata in forma privata per Benito Mussolini La canzone dell’amore, il primo film interamente realizzato e doppiato in Italia.
L’evento rappresentò l’inizio dell’era del sonoro del nostro Paese. Infatti il film, che ebbe il benestare del duce, appena tre giorni dopo veniva proiettato nelle sale di tutta la penisola.
L’esempio della CINES fornì lo spunto per la formazione di altre società di doppiaggio ,che era ormai diventato un fenomeno tecnico-artistico dilagante, la soluzione ideale alla questione del sonoro. Di lì a poco infatti venne fondata la FOTOVOX ad opera dell’ingegner Gentilizi che ne affidò la direzione a un giovane attore di nome Franco Schirato.
Nel 1933 il regista documentarista Vincenzo Sorelli fondò la “ItalaAucustica” e nell’estate dello stesso anno fu la volta della “FonoRoma” fondata dall’ingegner Salvatore Persichetti e diretta da Ruggiero Barni, famoso attore del cinema muto.
Grazie a questi pionieri il doppiaggio italiano si affermò in maniera tale da diventare un’arte a tutti gli effetti, raggiungendo ben presto un elevato livello qualitativo rispetto a quello delle majors americane.
Cominciò così il periodo d’oro del dubbing italiano. I doppiatori degli anni trenta che contribuirono ad accrescere l’importanza di questo lavoro erano per la maggior parte attori di teatro dalle spiccate doti vocali che avevano affinato la dizione in anni di esperienza sui palcoscenici. Attori come Emilio Cigoli, Maria Pia De Meo, Pino Locchi, Sandro Ruffini, Tina Lattanzi, che hanno fatto sognare gli spettatori del pubblico italiano prestando la propria armonica voce ai loro divi preferiti.
Queste persone hanno avuto il pregio d’essere riuscite a dar vita a una professione stabile e ben retribuita, che seppur poco esaltante per loro e spesso noiosa e ripetitiva, svolta in sale buie e nel quasi totale anonimato, si è rivelata essenziale per l’industria cinematografica italiana che ancora oggi può sicuramente vantare il doppiaggio migliore del mondo.
I primi doppiatori, nella loro “recitazione sovrapposta”, adottavano un tono piuttosto “aulico”, molto teatrale, che, seppur poco realistico, ben si sposava con le atmosfere di certe pellicole come Via col vento o Casablanca.
Nei decenni successivi, a seguito di una certa revisione del cinema d’Oltreoceano che proponeva nuovi protagonisti meno belli ma altrettanto bravi e ruoli più vicini all’uomo della strada come Robert De Niro, Al Pacino e Dustin Hoffman, i toni del doppiaggio si adeguarono a loro volta.
E proprio in questa atmosfera emerse il ruolo di Ferruccio Amendola, l’indimenticato grande attore-doppiatore. Amendola si adattava perfettamente a questa nuova figura di attori americani, proponendo quella sua tipica dizione “sporca”, dai toni molto meno aulici ma molto più realistici.
Il ruolo del doppiatore è tutt’altro che facile, poiché non si limita semplicemente a “prestare la voce” ma fa molto di più: presta la propria anima! Deve mettere a disposizione la sua essenza di attore, calandosi nella parte allo stesso modo del divo del cinema. Praticamente interpreta lo stesso ruolo del protagonista del film originale senza farne rimpiangere la recitazione. Talvolta è addirittura capace di reinventare totalmente il personaggio alla sua maniera.
Il difficile lavoro di questo attore-doppiatore consiste proprio in questa sua capacità di instaurare un rapporto empatico col divo cui è chiamato a doppiare: deve cercare di “fondersi” con esso dando vita a un magico ibrido da cui viene fuori un essere del tutto nuovo, nato appunto da questa particolare fusione tra l’attore e il suo doppiatore.
Allo stesso modo anche il ruolo del dialoghista non è affatto facile: è colui che ha il gravoso compito di tradurre la sceneggiatura nella nostra lingua e successivamente di riscriverla completamente sia per trovare le battute in italiano che meglio si sincronizzano col labiale degli attori stranieri, sia per rendere più “comprensibili” dal punto di vista culturale i dialoghi stranieri tradotti. La sola “traduzione letterale” infatti non sempre è sufficiente per far comprendere il senso di un testo, ma occorre anche un secondo livello di traduzione, quella semantica o culturale, che consiste nel tradurre anche il senso di battute e modi di dire. Per questo motivo quando ci si riferisce ad un film doppiato in italiano è invece più corretto parlare di “versione italiana”, un vero e proprio film parallelo. Perciò il nostro Paese, che vanta una quasi secolare tradizione nel settore, da quando si scelse di seguire la strada del doppiaggio anziché dei sottotitoli, possiede la più grande scuola di doppiaggio al mondo.
Da allora nel corso dei decenni la nostra industria del dubbing è cresciuta in maniera esponenziale, riconosciuta e apprezzata da tutti, al punto da ricevere sporadicamente i complimenti degli attori stranieri che si trovano a passare per gli studi di Cinecittà. Capitò negli anni Ottanta al grande Ferruccio Amendola quando ricevette la visita di Dustin Hoffman durante una sessione di doppiaggio. Hoffman salutò Amendola con una battuta spiritosa: «Però ricordati sempre che Dustin Hoffman sono io!»

Tra i principali riconoscimenti per i doppiatori la più nota è il “Festival Voci nell’Ombra”, nato nel 1996 da una idea di Claudio G. Fava e Bruno Astori per fare conoscere al grande pubblico l’importanza del dubbing. Giunto ormai alla sua diciannovesima edizione, il Festival ha lo scopo di consegnare diversi premi divisi per categorie ai doppiatori che si sono distinti maggiormente per la loro performance.
Articolo correlato: http://www.terronianmagazine.com/?p=2187