Il fotografo Dario Di Cesare e il suo attimo condiviso

di Antonietta Montagano

In una calda giornata di agosto, durante un giro tra i vicoli del centro storico di Napoli, alla ricerca dell’attimo da fotografare, in piazza San Domenico Maggiore un banchetto  di fotografie catturò la mia attenzione: mi fermai a guardare quegli scatti e subito mi arrivò la sensazione dell’immediato. Parlai di fotografia con l’autore di quelle meravigliose immagini, Dario Di Cesare.  Un bigliettino da visita  con la promessa di approfondire il dialogo e l’argomento e proseguii per la mia strada, felice  di aver conosciuto un vero artista.

Dario Di Cesare è nato il 3 ottobre de 1972 nel centro storico di Napoli. La sua infanzia venne segnata dall’incontro precoce con gli ambienti fotografici. Quell’odore pungente dei reagenti chimici lo affascinava e lo incuriosiva. Spesso il padre fotografo lo portava con sé nella camera oscura, ma era lungi da lui l’idea di instradarlo verso quel mestiere artistico. Crebbe così in Dario questa passione per la fotografia, soprattutto in bianco e nero, che si sarebbe portato dietro negli anni.

Nel  ‘97 Dario iniziò a collaborare come agente di marketing con alcune riviste di musica tra cui Live Magazine.

Furono però gli anni 2000 quelli della svolta: forte delle sue esperienze passate, Dario fondò Flyer, un free press mensile che trattava della night life napoletana. È con questo progetto che riuscì ad esprimere tutta la sua originalità: Flyer divenne ben presto un punto di riferimento per la vita notturna partenopea.

Più tardi, nel 2004 Di Cesare decise di dedicarsi alla realizzazione di mappe free press: nacque così il progetto NapoliPocket – Map Guide che riscosse tanto successo tra albergatori e B&B.

Nel 2015 organizzò la sua prima mostra fotografica, Mappe in mostra, dove si fondeva le sue due grandi passioni: la fotografia e la grafica pubblicitaria.

Passato qualche giorno decisi di contattare Dario per un’intervista per Terronian Magazine. Ci ritrovammo  nella stessa piazza, seduti al tavolino di un bar e dopo un buon caffè napoletano  Dario ha raccontato un po’ di sé.

Qual è il genere di fotografie che fai?

Le mie foto nascono tutte in maniera spontanea, di solito non penso quando faccio le foto. Non so nemmeno che cosa voglio fotografare. A volte a casa riguardandole resto sorpreso, come fossi io stesso lo spettatore di quello che ho  fotografato. Voglio continuare così, non voglio cambiare, voglio che sia sempre un fatto sconosciuto per me la fotografia, Qualcosa di sconosciuto che io riscopro nel momento dello scatto, non nei miei pensieri. Così sono tutte le mie foto, ad iniziare dalle prime che avevano come soggetto i gatti. E così è successo  con le foto dei gabbiani,  per quelle dei vicoli  e ugualmente per le foto delle modelle, che poi non sono altro che ragazze che incontro per strada e  alle quali  chiedo in quel momento di posare per me. Quindi anche le mie foto di modelle sono tutte spontanee, nate al momento: non potrebbe essere diversamente per me.

Ci parli in particolare delle foto dei gabbiani?

Le foto dei gabbiani sono collegate ad un periodo nel quale andavo ad osservare spesso il mare. In quel momento non pensavo minimamente di fotografare i gabbiani, Diciamo che li osservavo, ero interessato a scoprire il loro mondo, come vivono, come si spostano, come vanno a caccia, quanto sono aggressivi.

Poi il momento in cui si è acceso il desiderio forte di fare queste foto è stato quando un giorno passeggiavo nei pressi del lungomare di Napoli e vidi un signore  fornito di  una reflex  con un  grande teleobiettivo. Fece una foto ad un gabbiano e io mi chiesi: «Ha fatto una foto a un gabbiano, però quale emozione avrà provato questo fotografo facendola?» Chi guarderà quella foto vedrà  sicuramente un gabbiano  ripreso  con il tele da una distanza notevole, ma quel signore non sa nulla di quel gabbiano, ha fatto solo una foto, senza provare nulla. Infatti il suo viso era privo di qualsiasi emozione. Allora io mi sono chiesto: «Che cosa si può fare di diverso?» È così che  sono ritornato con la mente  ai giorni passati in riva al mare ad osservarli  da vicino, e mi sono detto: «Ecco cosa si può fare! Andare nel loro mondo fotografando i gabbiani da vicino». Non nego di essere stato ispirato in queste serie di scatti dal famoso film Gli Uccelli di Alfred Hitchcock.

Come hai fatto ad avvicinarli?

All’inizio non sapevo come fare, non credevo nemmeno fosse possibile poter fare delle foto ai gabbiani da vicino, però l‘istinto ti porta ad  usare il metodo più semplice, quello di dargli cibo, come facciamo con i gatti. Allora ho fatto la cosa più semplice: ho  preso un pezzo di pane e l’ho portato con me.

Tra le tante foto fatte ai gabbani, qual è la tua preferita?

Il gabbiano, foto di Dario Di Cesare

Ho fatto circa 25/30 scatti in un giorno, alcuni non li ho nemmeno ancora rivisitati. Ma ce n’è una in particolare alla quale sono legato. Durante la fase di scatto, mi sono ritrovato circondato dai gabbiani, perché appunto stavo dando loro cibo. Trovandosi nel loro habitat, si erano così tanto avvicinati a me, che oramai mi volavano intorno. In quel momento ero concentrato, non volevo semplicemente fotografare i gabbiani ma fare appunto delle foto che mi piacessero. All’improvviso notai un gabbiano che  si era posato su un muretto e stava per spiccare il volo: ebbi la prontezza di riflessi di riuscirmi a girare verso di lui per fotografarlo, un secondo più tardi e sarebbe volato via. Questo gabbiano guardava proprio il Vesuvio, aveva lo sguardo un po’ contrariato come se non volesse guardare la realtà del mondo che ci circonda. Le problematiche di Napoli e dei paesi vesuviani  le conosciamo tutti. Questa potrebbe essere una personale lettura della mia foto preferita.

Per te che cosa è la fotografia?

È un modo di vivere, è un rapporto diverso con quello che mi circonda, cerco di plasmarlo per creare appunto delle opere fotografiche.

« Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e filtri giusti. Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. La grande foto è l’immagine di un’idea». Tiziano Terzani