La violenza nella cultura postmoderna ed i simulacri dei media
Femminicidio, patricidio, matricidio, pedofilia, sono questi i titoli che ricorrono sulla stampa e sulle televisioni, oltre ai tanti assassini che ancora non hanno un colpevole di cui dissertano nei vari salotti televisivi e che hanno alti livelli di audience in quanto tutti cercano di rispondere all’unica domanda che ci tormenta: “Perché?”. Perché questo abbrutimento della società che ha perduto la rotta che porta ai valori umani? A cosa è dovuto questo alto tasso di aggressività e di violenza? C’è chi dà una interpretazione diversa dell’aggressività e della violenza, ma noi propendiamo per una uguale significazione perché contengono una identica valenza.
Si può essere aggressivi e violenti con atti fisici, ma si può essere aggressivi e violenti con le parole. La parola è un’arma potentissima per la sua forza istigatrice che alimenta una incubazione che a poco a poco destina l’individuo debole, che non riesce a controllare i propri impulsi, a proiettarsi verso comportamenti disumani. Perché qui non parliamo di quella sana collera, dovuta alla non accettazione di chi calpesta pregiudizialmente le idee altrui e che prende nelle discussioni colui che si ribella a sopraffazioni e che è animata dalla passione che si nutre per i propri contenuti ideologici.
E neppure alludiamo a quella sana reattività che distingue l’uomo molle, rinunciatario ed indifferente ad ogni accadimento sociale, dall’uomo che partecipa in prima persona ai fatti quotidiani. Ci si può arrabbiare anche per troppo amore, per difendere magari la propria e l’altrui identità.
Ancora più insidiosa è la violenza psicologica che si esercita con subdola intenzionalità per addomesticare, plagiare, asservire l’altro alle proprie volontà.
Ma la violenza è innata in alcuni uomini? Si nasce violenti?
Se questa tesi fosse prevalente sarebbe un disastro in quanto il violento sarebbe giustificato ed incolpevole, perché il suo comportamento verrebbe considerato inevitabile, se uno nasce violento non può che commettere atti violenti. Menomale che la psicologia, la psichiatria, la antropologia, la sociologia sono pervenute alla determinazione che sul comportamento umano influiscono fattori ambientali, culturali per cui è su questi fattori che occorre intervenire.
Se sin da piccoli si inculca il concetto che l’altro è un avversario da abbattere, se si dà allo sport una valenza di sopraffazione dell’altro, se ci si crogiola nella visione di film ad alto contenuto aggressivo, se anche i videogiochi sono permeati di protagonisti che devono eliminare i concorrenti e così via , è naturale che l’aggressività lievita ed assume una plusvalenza che nulla ha a che vedere con una sana competizione.
E’ al trionfo del bene sul male, ad una solidarietà verso chi è più debole, al rispetto delle altrui opinioni che bisogna tendere, se si vuole gettare le basi di una società più sana ed umana. L’altro non è mai inferiore a noi ma semplicemente portatore di idee diverse. La violenza, sia fisica che psicologica, non va mai accettata ma sempre respinta e mai dobbiamo passivamente subirla fino ad abituarci alla sua esistenza.
I motivi della violenza possono essere molteplici e vanno dalla constatazione di ingiustizie sociali alle punizioni di genitori particolarmente aggressivi, dalla assunzione di droghe e bevande alcoliche a rancori repressi, da sensi di colpa ad una rabbia non espressa ma che cova dentro e mano a mano si potenzia.
E neppure i tratti somatici di lombrosiana memoria possono farci presagire una potenzialità delinquenziale, come dimostra l’episodio che ha visto protagonista il campione paralimpico Oscar Pistorius che ha ucciso la sua fidanzata. Chi avrebbe mai immaginato che dietro quel volto bello ed angelico si nascondeva uno spietato assassino? E’ la sconfitta della teoria del Lombroso che si è fermato alla esteriorità non riflettendo che era dentro di sé che Pistorius coltivava la sua fragilità umana, che neppure i successi atletici sono riusciti a sanare. E’ “dentro di sè” che bisogna lavorare, cominciando dalla scuola che dovrebbe inculcare i principi basilari di una educazione civica, è “dentro di sè” che bisogna lavorare cominciando dalla società che dovrebbe dare esempi che riconducono l’uomo a principi etici che non vedono nel denaro e nella sopraffazione dell’altro il traguardo a cui aspirare. E’ nell’amore per l’altro, nella solidarietà verso l’altro, nella consapevolezza dei propri limiti e, conseguentemente, il bisogno di trarre dall’altro un completamento di sé stessi attraverso un reciproco scambio di amore, che bisogna tendere. E’ l’amore, quello vero e non vittima di masturbazioni concettuali, che può sconfiggere ogni prepotenza sull’altro che, altrimenti si trasforma in un nemico da abbattere per non lasciare tracce della propria latente instabilità psichica ed inferiorità psicologica.
Ed allora possiamo dedurre che il violento ha disturbi di personalità e scarica sugli altri le proprie frustrazioni ritenendo con ciò di affermare la propria superiorità, la propria onnipotenza. Ma ciò conferma la sua incapacità di relazionarsi con gli altri, perché non sa porsi su di un piano di reciprocità riconoscendo i diritti degli altri. La cosa che sorprende è che ad atti di violenza si abbandonano anche persone lucide, di un certo spessore culturale, ma evidentemente queste persone hanno solo vestito un abito intellettuale e quando si spogliano di questo abito emergono le loro carenze, i loro limiti, la loro piccineria psicologica.
Ancora una volta è la socratica ignoranza la madre di ogni sbandamento comportamentale! Ignoranza che non si identifica con una mancanza culturale o intellettuale, ma con una incapacità di approfondimento analitico di ogni azione e reazione, con una incapacità di percepire all’interno della propria dimensione umana quel senso che fa della propria esistenza una ragione di vita che è sempre e rimane…una ragione di amore.
Aldo di Mauro*
*Scrittore, poeta , filosofo