L’abbandono di Villa d’Elboeuf tra incuria e responsabilità storiche
di Francesco Bartiromo
L’antica Villa d’Elboeuf situata al Granatello di Portici è oramai un gigante abbandonato da diversi anni. Versa in condizioni estremamente precarie, tali da compromettere la stessa integrità della struttura.
Lo stato d’abbandono perpetuato nel corso dei decenni è culminato nell’ormai famoso crollo avvenuto due anni fa, nel febbraio 2014, quando a causa di continue piogge torrenziali una parte della facciata posteriore della villa crollò sui binari dell’adiacente tratta ferroviaria Napoli – Portici. Un crollo di piccola entità: 4×4 metri d’un terrazzo all’estremità dell’ala sud. L’episodio causò un notevole disagio ai collegamenti ferroviari di tutta la tratta del litorale da Napoli fino a Torre Annunziata, che rimase chiusa per un anno intero, riaprendo soltanto nell’aprile del 2015 grazie alla costruzione di un tunnel artificiale per proteggere i binari da ulteriori crolli.
La causa di quel disastro annunciato è indubbiamente dovuta allo stato di fatiscenza in cui versa lo storico edificio da circa un ventennio, nella più totale incuria da parte delle Istituzioni. Il degrado attuale è cominciato circa mezzo secolo fa, con la commercializzazione di Villa d’Elbeouf e la speculazione edilizia, passando attraverso l’abusivismo degli anni Ottanta – addirittura un intero ristorante fu edificato proprio all’interno dell’approdo marittimo della struttura – fino ad arrivare al totale stato d’abbandono con frequenti crolli interni, atti di sciacallaggio e vandalismo, incendi e sventure varie.
Ma le “colpe primordiali” vanno ricercate nel passato remoto, già al tempo dei Borbone, poiché la maggior parte degli studiosi di storia concorda sul fatto che fu proprio la tratta ferroviaria Napoli-Portici, la prima d’Italia inaugurata nel 1839, a dare il via al lento e progressivo declino della Villa del Granatello.
Quest’antico palazzo fu fatto costruire nel 1711 e terminato nel 1716 dall’architetto Ferdinando Sanfelice per conto del nobile francese Emanuele Maurizio di Lorena duca d’Elboeuf. Si ergeva inizialmente su soli due piani e presentava due ampie ali che si estendevano parallele sul mare fungendo da scalo marittimo per le imbarcazioni. La sua conformazione originaria, però, subì nel giro di pochi anni consistenti modifiche, con la realizzazione di un ulteriore livello e l’allungamento dell’ala settentrionale, dando luogo ad una tipologia tipica tra le ville vesuviane, individuata da un corpo centrale rialzato rispetto a due ali laterali terrazzate.
All’interno della villa vi erano numerose piante esotiche fatte trapiantare dal duca d’Elboeuf e diverse sculture e manufatti antichi provenienti dai vicini scavi archeologici di Ercolano.
Nel 1738 ebbe occasione di ospitare Carlo III di Borbone che s’innamorò dei luoghi al punto da decidere di far costruire proprio a Portici la sua residenza estiva, la Reggia che poi diverrà sede del Dipartimento di Scienze Agrarie dell’Università Federico II.
A seguito del rientro in Francia del principe d’Elboeuf la villa venne ceduta al duca di Cannalonga e successivamente la acquistò Carlo di Borbone. Entrò così a far parte del complesso residenziale estivo dei sovrani di Napoli che sancì il progressivo prestigio della città di Portici e dei vicini comuni che videro proliferare le costruzioni di numerose Ville Vesuviane che ora compongono il patrimonio UNESCO del Miglio d’Oro.
Il declino della Villa d’Elboeuf cominciò proprio nel 1839 con la costruzione del tratto ferroviario Napoli-Portici, primo d’una rete che successivamente avrebbe collegato Napoli ai comuni di Nocera e Castellamare, sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone.
La prima ferrovia d’Italia rappresentò di sicuro motivo di vanto per la dinastia borbonica e per tutto il Regno delle Due Sicilie, che vide successivamente la costruzione del cantiere ferroviario di Pietrarsa, uno dei primi grandi complessi industriali d’Italia che s’aggiunse al già prestigioso cantiere navale di Castellamare di Stabia. Purtroppo questa infrastruttura fu costruita parallelamente all’andamento della costa, in prossimità del litorale stesso, privando, di fatto, il territorio cittadino di un rapporto diretto con il mare fascia costiera lunga oltre due chilometri, tra il Granatello e Pietrarsa, così come è accaduto per molti altri comuni del Miglio d’Oro, come la città di Ercolano che attualmente non possiede nessun lungomare né scalo portuale, a parte l’approdo di Villa Favorita.
Villa d’Elboeuf avrebbe pagato, quindi, a caro prezzo l’audacia di essere stata edificata così vicino al mare, ritrovandosi a lavori ultimati al di là della linea ferroviaria, non più in continuità col bosco borbonico che si estendeva dalla villa alle falde del Vesuvio passando per la Reggia. Dunque la ferrovia “tagliò” letteralmente la comunicazione tra l’antica Villa d’Elboeuf e tutto il parco retrostante, rompendo l’armonia architettonica dell’intero complesso.
Inoltre la stessa ferrovia non solo sarebbe “colpevole” d’aver guastato il circondario della Villa, ma anche d’aver rovinato l’intero litorale del Miglio d’Oro deturpandone il paesaggio: infatti percorrendo il lungomare tra la zona da Croce del Lagno al Granatello sono ancora ben visibili alcuni tristi ruderi del lido dorato che un tempo erano le discese a mare delle antiche residenze nobiliari.
Non vi è dubbio che sotto il regime di Re Ferdinando IV di Borbone il Regno delle Due Sicilie nella prima metà dell’Ottocento conobbe un alto livello di prestigio economico e industriale, ma commise il grossolano errore nel permettere la costruzione della ferrovia proprio sul litorale partenopeo mostrando di non posseder la stessa premura del suo predecessore per l’intero complesso della Reggia di Portici.
Questo anche a causa di un certo revisionismo sociopolitico adottato da Ferdinando in occasione di eventi storici che turbarono la tranquillità del Regno, come la rivoluzione del 1799, l’avanzata dell’esercito napoleonico nella capitale borbonica, la breve vita della Repubblica Napoletana, episodi a seguito dei quali il sovrano impresse una impronta più pragmatica e autoritaria sulla gestione del regno, alquanto lontano dai fasti della monarchia illuminata di re Carlo III.
Successivamente, a seguito dell’Unità d’Italia nel 1861, tutti gli immobili e beni borbonici, compresa Villa d’Elboeuf, andarono a far parte del patrimonio della famiglia reale dei Savoia. In seguito, nel più totale disinteresse per i siti partenopei, la storica villa fu venduta alla famiglia Bruno.
Le successive deprivazioni e privatizzazioni dell’edificio, il susseguente abusivismo edilizio della seconda metà del Novecento e l’attuale stato d’abbandono, hanno reso la bellissima Villa d’Elboeuf un triste rudere pericolante senza più alcuna traccia dell’antico patrimonio artistico che possedeva.
Le grandi scalinate d’accesso sono state depredate delle balaustre in marmo, e molti degli interni sono in rovina a causa di intemperie ed incendi. Il tetto, realizzato con una struttura portante in legno, è crollato in diversi punti. Diverse pareti interne sono state abbattute e molti locali sventrati in seguito ad atti di sciacallaggio mirati a depredarne il rame dei cavi elettrici. La struttura è stata usata più volte da senzatetto come rifugio.
Solo di recente Villa d’Elboeuf, che nel 2013 è stata venduta ad una cordata di imprenditori, sta subendo un lento lavoro di messa in sicurezza, in attesa di cominciare un vero e appropriato lavoro di restauro e di riqualificazione.
Ma da quel che si può osservare direttamente visitando a proprio rischio e pericolo l’interno sventrato della struttura cresce sempre di più l’amara consapevolezza che sia troppo tardi per restituirle il prestigio d’un tempo, irrimediabilmente perduto.