Ma come, la Questione Meridionale non esiste?
di Francesco De Crescenzo
Il premier Matteo Renzi qualche tempo fa in una visita in Irpinia agli stabilimenti dell’EMA (Europea Microfusioni Aereospaziali), dichiarò che la Questione Meridionale non esiste…
Ad essere sincero non è che mi aspettavo chissà quali prese di posizione da parte delle amministrazioni e delle istituzioni locali, ma almeno che qualche opinionista, qualche intellettuale non di fede borbonica intervenisse per dire al premier che la sua affermazione è stata proprio un grande abbaglio, per non dire un’altra cosa…
Bastava ricordargli il dato allarmante emerso dal rapporto Svimez sull’economia del mezzogiorno, nel 2013 il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico, 177mila, il valore più basso mai registrato dal 1861.
Un Sud dove si continua a emigrare, dove la popolazione continua a impoverirsi, con un aumento del 40% di famiglie povere nell’ultimo anno, perché manca il lavoro, dove il numero dei morti ha superato quello delle nascite.
Ma da nessuna fonte autorevole si è levata alta la voce del dissenso, forse perché, come dice Gennaro De Crescenzo, presidente del Movimento Neoborbonico, la classe dirigente è la stessa da oltre 150 anni (stesso modo di amministrare, stesse frasi di circostanza, stessa mentalità, stessi cognomi), questo ci ha portato a pensare in un certo modo, a ritenerci causa dei nostri mali e carnefici di noi stessi.
Se è vero quello che dice il Premio Nobel Amartya Sen «L’uomo è quello che gli viene permesso di essere», a noi è permesso di essere creduloni, autolesionisti e disfattisti.
Non proviamo nemmeno più a spiegarci perché le cose vanno in un certo modo, la risposta è diventata una per tutti i nostri mali ovvero che ‘a colpa è ‘a nosta, che non siamo capaci. E finiamo per tessere le lodi del settentrionale perfetto imprenditore e stakanovista sul lavoro.
Siccome per spostarmi utilizzo sovente i mezzi pubblici,nell’attesa – che talvolta è estenuante – mi capita di sentire le discussioni delle persone presenti alla fermata.
Chi parla di calcio, chi della destinazione delle vacanze, qualcun altro di politica, ma molti si lamentano dei disservizi. Altri delle lunghe file e dei lunghi periodi d’attesa per le visite mediche e controlli vari.
Ultimamente ho ascoltato un signore che tesseva le lodi degli ospedali di Novara, comune piemontese dove sua figlia si è trasferita: a detta di questo signore per prenotare una visita ha impiegato 10 minuti e dopo pochi giorni ha fatto gli esami clinici.
Sicuramente è vero che ci sono voluti pochi giorni, sicuramente è vero che a Napoli bisogna fare lunghe file per pagare il ticket e aspettare addirittura mesi anche per analisi importanti, ma la colpa di chi è? Perché dobbiamo aspettare tanto di più a Napoli rispetto a Novara? Forse perché Novara capoluogo dell’omonima provincia piemontese conta 104.736, dista 49 km da Milano, 95 km da Torino, e ha 6 ospedali.
Napoli invece che per numero di abitanti è la terza città d’Italia (circa 989.553) conta 34 ospedali, che potrebbero sembrare tanti, ma se facciamo una semplice operazione matematica vediamo che a Novara ad ogni ospedale corrispondono circa 17.456 abitanti, mentre a Napoli c’è un’ ospedale per 29.1045 napoletani, in pratica quasi il doppio della utenza.
Se poi a questa cifra aggiungiamo le utenze che arrivano dalla provincia di Napoli, da tutte le altre province campane e da altre regioni del sud, è facile intuire che ogni ospedale napoletano fa 3-4 volte in più il lavoro di un ospedale novarese. Se proprio vogliamo essere precisi e se aggiungiamo che a causa dei rifiuti tossici la percentuale dei malati in Campania è aumentata, ecco spiegata l’inefficienza dei nostri operatori sanitari.
Naturalmente non voglio assolvere tutti: ci sono, è vero, casi di negligenza, di assenteismo e corruzione. Ma se provassimo a far svolgere il lavoro di un ospedale napoletano al personale di un ospedale novarese, resterebbe intatta l’efficienza settentrionale?
È soltanto un esempio, ma questa è l’attuale situazione sanitaria a Napoli, a fronte dei 150 ospedali che c’erano prima dell’unità d’Italia. «In Napoli capitale si contano oltre centocinquanta ospedali e istituzioni benefiche, orfanotrofi, ecc. Si può dire che accanto ad ogni chiesa e/o monastero esistevano locali preposti all’assistenza d’infermi».¹
Secondo i dati del primo censimento generale della popolazione c’erano 447.065 abitanti ² – era la più grande città d’Italia – otteniamo, facendo la solita operazione, che c’era un ospedale per ogni 2.980 napoletani.
Quindi, caro Renzi, esiste o no una Questione Meridionale?
E a voi, cari lettori, prima di autoflagellarvi e dire che ’a colpa è ‘a nosta, fatevi due conti …
1) Rispoli Gennaro, Primario chirurgo Ospedale Ascalesi e Ospedale San Giovanni Bosco ASL NA1, “Gli ospedali e la città antica: uno spunto per una passeggiata tra medicina antica e arte” http://podcast.federica.unina.it/files/_docenti/come-alla-corte-federica/doc/comeallacorte-rispoli3.pdf
2) Cit. Censimenti italiani Corriere Della Sera: http://cinquantamila.corriere.it/storyTellerThread.php?threadId=censimento1