Problemi di memoria? Escludiamo che si tratti di Alzheimer

di Bruno Provitera

Alcuni problemi di memoria possono essere connessi a patologie di varia natura. Ad esempio possono essere provocati dagli effetti collaterali dei farmaci, dalla carenza di vitamina B12, dall’alcolismo, dai tumori o dalle infezioni del cervello o ancora da patologie vascolari del cervello. I problemi di memoria, inoltre, possono essere causati da alcune patologie della tiroide, da quelle renali ed epatiche. Anche i problemi emotivi come lo stress, l’ansia o la depressione possono rendere il paziente più distratto e possono essere scambiati per demenza.

Un dato certo è che nel mondo i malati di Alzheimer, attualmente, sono 25 milioni e solo in Italia le persone affette da questa patologia sono oltre 500.000. La malattia colpisce nel nostro paese circa il 20% delle persone oltre i 65 anni.

Alzheimer: i primi sintomi.

Le caratteristiche cliniche della malattia possono variare notevolmente da soggetto a soggetto, tuttavia il più precoce ed evidente sintomo è in genere una perdita significativa della memoria che si manifesta all’inizio soprattutto con difficoltà nel ricordare eventi recenti e successivamente si aggrava con lacune in ambiti sempre più estesi.

Oggi sappiamo che la perdita di memoria è la diretta espressione della perdita, nel cervello di materia grigia in particolari aree cruciali per i nostri ricordi, come l’ippocampo, una struttura cerebrale deputata espressamente alla formazione ed al consolidamento memorie.

Spesso, a questo primo sintomo, si associano altri disturbi quali:

  • difficoltà nell’esecuzione delle attività quotidiane, con conseguente perdita dell’autonomia;
  • disturbi del linguaggio con perdita della corretta espressione verbale dei pensieri, denominazione degli oggetti oppure impoverimento del linguaggio e ricorso a frasi stereotipate.

Altre volte il sintomo che si associa al disturbo di memoria può essere rappresentato anche dal disorientamento spaziale, temporale e topografico.

Frequenti sono anche alterazioni della personalità: più precisamente l’anziano appare meno interessato ai propri hobby o al proprio lavoro, oppure è ripetitivo. La capacità di giudizio è diminuita spesso precocemente, cosicché il paziente manifesta un ridotto rendimento lavorativo e può essere incapace di affrontare e risolvere problemi anche semplici relativi ai rapporti interpersonali o familiari.

Talvolta l’inizio della malattia è contrassegnato dalla sospettosità nei confronti di altre persone, accusate di sottrarre oggetti o cose che il malato non sa trovare. Nella grande maggioranza dei casi, solo a distanza di 1-2 anni dall’esordio della malattia il disturbo della memoria è tale che i familiari ricorrono all’aiuto di uno specialista.

Quali sono i test diagnostici che ci consentono di fare diagnosi certa di Malattia di Alzheimer?

  • Risonanza Magnetica ad alta risoluzione, che consente di evidenziare i danni dell’encefalo dovuti all’accumulo di beta amiloide nel tessuto cerebrale e, determinare con precisione il volume dell’ippocampo una particolare area dell’encefalo responsabile della memoria;
  • PET ( tomografia ad emissione protonica) che serve a misurare il funzionamento del cervello dopo somministrazione endovenosa di glucosio marcato. In questo caso le aree che captano regolarmente il glucosio che rappresenta il carburante per il buon funzionamento del cervello risultano di colore rosso alla PET quelle che non captano il glucosio risulteranno di colore verde.

Inoltre per una diagnosi circostanziata di Alzheimer si pratica una puntura lombare per analizzare la quantità di due proteine la Tau e la Beta Amiloide che normalmente sono in perfetto rapporto tra di loro.

Uno degli ultimi test avanzati messo a punto negli stati Uniti per l’Alzheimer si chiama il test Alkon: basta un prelievo di un piccolo frammento di pelle dal polso, la coltura del tessuto in laboratorio e poi la lettura per scoprire se l’Alzheimer abbia cominciato o no a danneggiare il cervello.

Daniel Alkon, direttore scientifico del Blanchette Rockefeller Neurosciences Institute, università West Virginia, USA, afferma che il test è pronto – tutte sperimentazioni sono state superate . ed entro l’anno verrà utilizzato negli Stati Uniti. Due i filoni della sua ricerca: uno va verso il test per riconoscere preventivamente la malattia di Alzheimer e l’altro verso l’utilizzo di un farmaco anti amiloide e anti Tau che dovrebbero essere in grado di riattivare le comunicazioni (le sinapsi) tra i neuroni.

Il test cutaneo determinerebbe la quantità di una proteina, la PKC epsilon, presente sia nell’epidermi deche nel cervello: depositandosi nel tessuto cerebrale impedisce alla proteina beta amiloide di distruggere le connessioni tra le cellule nervose cioè le sinapsi.

La quantità di proteina beta amiloide presente indica il dato maggiormente correlato al grado di demenza: se il dosaggio della proteina PKC epsilon risulta basso o i risultati della sua attivazione sono bassi vuol dire che il paziente ha il morbo di Alzheimer.

Pare che il test possa servire anche per escludere la malattia. Dice infatti Alkon: «A questo punto si va a cercare altrove la causa del danno alla memoria e pensare come possibile causa ad un problema vascolare come ad un profondo stato depressivo o ad altre possibili cause. Quale decisione prende, a questo punto, un medico visto che non esiste una cura per il morbo di Alzheimer? Al Blanchette Rockefeller, abbiamo appena iniziato a sperimentare una nuova terapia con una proteina la briostatina , un tempo sperimentata come farmaco antitumorale e usata in questo caso perché ha dimostrato di essere in grado di stimolare la produzione di proteine essenziali per la memoria a lungo termine».

La rubrica Corpus sanus è curata dal dottor Provitera – Endocrinologo chirurgo – Patologo Clinico – Esperto in medicine Integrate