Massimo Masiello riconquista il teatro Bolivar e da “Dint”e Senghe” torna Raffaele Viviani a volteggiare nell’aria
Era il 22 marzo del 1950 quando, balzando a sedere sul letto, indicando la finestra e gridando: “Arapite, faciteme vedè Napule! ”, Raffaele Viviani, intraprese il suo grande viaggio nel cielo dei poeti e della povera gente. E proprio quella sua città tanto invocata, intrisa di dramma e beffarda comicità, nel Teatro Bolivar, al grande “Scugnizzo” partenopeo e stabiese per caso, sembra fargliela rivedere ancora una volta il “cantattore” Massimo Masiello. E’ proprio il geniale e raffinato interprete di una Napoli sognante, infatti, artefice (a centoventisette anni esatti dalla nascita dell’attore e commediografo nato a Castellammare di Stabia il 10 gennaio 1888) dello spettacolo “Dint”e Senghe”, a regalare al pubblico un lavoro perfettamente in equilibrio tra i colori e le essenze di una terra dalle mille sfaccettature. Prendendo ancora per mano colui che meglio di tutti seppe descrivere una Napoli satura di dramma ed umanità, Massimo Masiello, affiancato da una trascinante Gingy Comune nelle vesti di un’autentica e passionale donna di Viviani, in scena riesce ad assumere, come esaltante protagonista, tutti i toni e le sembianze di quella società tanto cara al celebre interprete della Napoli dei vicoli e degli emarginati. Quegli stessi emarginati che, attraverso la limpida voce di un “cesellatore” come Masiello, nello spazio di Materdei, si riscattano nel nome di un autore capace di prestare loro un’arma formidabile basata sulla coscienza della dignità di esistere. Ed è proprio riportando alla mente le parole di un altro illustre
stabiese: Annibale Ruccello, che nel finale della sua commedia “Ferdinando” lascia pronunciare al personaggio di Clotilde la battuta ‘ chi nun tene passate… nun tene manco futuro’ che Masiello con il suo viaggio teatrale e musicale sui vivianei sentieri sembra celebrare una dimensione più che mai viva anche nel cuore dei napoletani di oggi. Accompagnato al pianoforte dal maestro Gaetano Cassese, artefice anche degli arrangiamenti ed ancora da Ciro Perna al flauto ed alla tastiera e da Aniello Menna alla chitarra, Massimo Masiello offre al pubblico alcuni dei brani più significativi di colui che a pieno titolo può essere considerato tra i più apprezzati autori del Novecento europeo. Tra poesie, prosa e canzoni, la traversata nel mare senza tempo di Viviani, che, oggi come ieri, continua a bagnare i sentimenti di un popolo che soffre ridendo e piange senza lacrime, grazie alle sinuose interpretazioni di un Masiello che prosegue deciso verso quella perfezione artistica sinonimo di “leggerezza”, riesce a far riemergere tutti quei toni dimessi e sfumati del grande dramma popolare. Ridipingendo con accesi colori un piacevole bozzetto raffigurante un commediografo ed un attore capace di riprodurre sulle scene la vita vera dei napoletani, Masiello. applaudito, dall’inizio alla fine, contando pure sulla forza scenica di un’artista di razza come Gingy Comune intrepidamente calata nei panni dell’immensa “Prezzetella ‘a Capera” e della esilarante “Zucconas”, riesce così ad avvicinare nuovamente il popolo napoletano alla grandiosità di un autore che, nelle sue espressioni, ha sempre raccolto la sofferenza dei vicoli, i patimenti della miseria, il sudore dei lavoratori, la sfrontatezza delle donne di strada, il carisma dei guappi e tutte quelle ingiustizie di una Napoli che,
ancora oggi, sono incredibilmente le stesse. Con le poesie “Tutt’ ‘e ccose mpruvvisate”, “’O raggio ‘e sole”, “Fravecature”, “Si overo more ‘o cuorpo” (dedicata all’indimenticabile Alfonso Guadagni) e con le canzoni “Tarantella segreta”, “Sapunariello”, “’O nnammurato mio”, “Scurdato nterra all’isola”, “Avvertimento”, “Bammenella”, “’A rumba de’ scugnizze”, “’A preghiera do zuoppo”, “Cuncettì, Cuncettì” e “Guappo ‘nnammurato”, Massimo Masiello, dimostra ancora una volta il suo immenso amore per l’ opera di Raffaele Viviani. E quando alla fine, con in testa il direttore artistico Sasà Palumbo ed il patron del Bolivar, Toni De Luca, tutti applaudono con entusiasmo e vigore, ad emergere decisa, oltre alla bravura di un interprete che si avvia sempre più verso nuovi e lusinghieri successi, sono le gioie ed i dolori di una terra fatta di tufo e di “Senghe” (sottili fessure) create da qualche divina entità per accogliere e custodire in profondità amori, sentimenti e speranze.
GIUSEPPE GIORGIO