Il grano antico, una ricchezza ritrovata

di Antonietta Montagano

In Sicilia tornano i “grani antichi”, varietà del passato rimaste autentiche e originarie, che non hanno cioè subìto alcuna modificazione da parte dell’uomo per aumentarne la resa. E così il paesaggio dei Nebrodi, delle Madonie e dei  Peloritani sta cambiando, arricchito dalla biodiversità di un’agricoltura che da decenni aveva  ridotto a poche specie super selezionate la produzione di frumento.

Queste varietà di grano erano conosciute sia dagli antichi Greci che dai Romani e usate fino ai primi del Novecento: ad esempio il Maiorca, grano tenero coltivato da secoli in Sicilia, soprattutto su terreni aridi. La sua farina è apprezzata  soprattutto per fare dolci. Oppure il Timilia, tûmìnia nigra, tornato ad essere coltivato non solo per chi soffre di intolleranze come la celiachia, ma una vera e propria scelta economica.

Giuseppe Li Rosi
                                Giuseppe Li Rosi

Giuseppe Li Rosi, un agricoltore siciliano ha convertito 100 ettari della sua azienda familiare a “grano antico” , dimostrando così che esiste una valida alternativa ai  prodotti delle multinazionali francesi e canadesi, che ci vengono presentati come unica scelta possibile. La riscoperta quindi dei  “grani antichi” salva sia la qualità che l’economia.

Chi si impegna a gestire campi di grano antico deve dedicare almeno 10 ettari a ogni coltura, mantenendo la purezza del seme. Li Rosi, presidente dell’associazione Simenza, cumpagnia siciliana sementi contadine, ha raccolto intorno a sé 70 produttori. Altri ancora vogliono aggregarsi.

La sperimentazione, oltre alla conservazione, è all’ordine del giorno nella cumpagnia: si coltivano campi anche con miscugli di sementi, un procedimento diametralmente opposto alla monovarietà tendente alla ricerca dell’uniformità con uno standard basato sulla quantità.

Un campo di Sulla, pianta foraggiera fissatrice di azoto
Un campo di Sulla, pianta foraggiera fissatrice di azoto

Nei campi di Simenza invece variabilità e mescolanza innescano una selezione naturale che fortifica le spighe senza l’uso della chimica e permette che si adattino alle condizioni ambientali, alla composizione e all’esposizione del terreno.

Serve solo un po’ di pazienza: anno dopo anno la produzione subisce incrementi significativi. Il risultato biologico è sorprendente: dopo qualche ciclo semina-raccolto-semina alla fine ogni azienda ottiene un mix diverso di grani che collaborano tra loro, naturalmente.

Questa biodiversità apporta  almeno due vantaggi: una miglior competitività contro le specie infestanti e un naturale adattamento al cambiamento delle condizioni climatiche. È il principio della selezione partecipata, promosso a livello nazionale dall’AIAB, (Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica).

Le leggi sulle sementi favoriscono le multinazionali del settore: poche aziende controllano quasi il 60% dell’industria sementiera.

Inoltre il Tips, l’accordo sul libero scambio commerciale internazionale, proibisce lo scambio di semi tra gli agricoltori, rendendo ardua la possibilità di conservare e tramandare quelli autoctoni. «Ci è concessa solo la modica quantità», riferisce Li Rosi.

La Sicilia è tra le prime regioni produttrici di prodotti bio. I grani cultori che stanno passando al biologico e al recupero delle sementi locali aumentano sempre più. Si associano, mettono in piedi filiere alimentari e puntano su questo tipo di fare agricoltura e cultura, contro le leggi attuali che invece promuovono le colture intensive.

Siamo stati abituati a consumare  la tradizionale farina di grano tenero bianca 0, o 00 con la quale produciamo pane, pasta, prodotti da forno. Questa farina è ricavata da grani prodotti su larga scala, selezionato e modificato nel corso degli anni per rendere più ricca e abbondante la produzione, sebbene più povero dal punto di vista nutrizionale.

I motivi per cui bisognerebbe cambiare alimentazione e puntare  sul  grano antico sono tanti:  non ha subito alterazioni genetiche, è meno raffinato e quindi mantiene molto di più le proprietà nutrizionali presenti nella cariosside (chicco), è più leggero e digeribile, evita  lo sviluppo di intolleranze, tutela  la biodiversità e infine  ha  un rapporto più equilibrato tra presenza di amido e presenza di glutine, contenendo una percentuale minore di questa proteina, con tutti i vantaggi che ciò comporta per il nostro organismo.

È auspicabile quindi che questo antico e sano metodo di  produzione del grano  non venga ostacolato da qualche organismo mondiale per tutelare gli affari delle multinazionali.

Ricordiamo che il grano non è tutto uguale come invece vogliono farci credere. Riscoprire la biodiversità in agricoltura è fondamentale per migliorare l’Ambiente, l’alimentazione e la salute: siamo quel che mangiamo.

Legatura di un covone con fibra naturale
       Legatura di un covone con fibra naturale