Napoli, il Napoli e i napoletani
di Francesco De Crescenzo
Come i greci fondatori della città 3000 anni prima, anche ‘0 pallone a Napoli arrivò dal mare: lo portarono gli inglesi che sbarcarono alla Immacolatella.
Era l’inizio del secolo scorso e il porto era la più grande risorsa della città. Le compagnie di navigazione aprivano sedi funzionali cui facevano capo le navi dirette in oriente e in America.
A migliaia gli emigranti lasciavano piccoli e grandi centri, casa, amici, parenti, in cerca di fortuna Oltreoceano, nel nuovo continente.
Fu un giovane dirigente di una di queste compagnie, tale William Poths, trasferitosi a Napoli nel 1903, che diede il via a quella che cominciò come una semplice curiosità e si tramutò via via in passione per sfociare poi in una vera e propria fede per il gioco del calcio, nato in Inghilterra una cinquantina di anni prima.
Ci vollero un paio di anni per mettere insieme la prima vera squadra. Riuniti in un appartamento in vicolo Sansevero un gruppo di napoletani e di ospiti provenienti da Germania, Egitto, Svizzera e naturalmente Gran Bretagna misero insieme una quindicina di calciatori.
La prima sfida fu contro i marinai inglesi della nave Arabik. Grande sorpresa: vittoria dei napoletani per tre a due, con un gol anche di Michele Scarfoglio, figlio di Eduardo e Matilde Serao.
Dalla prima partita alla prima società non trascorsero molti giorni, e nacque la Naples football tra i vicoli di Toledo, nella pizzeria di Guglielmo Matacena.
Ma come sempre spuntarono gelosie, contrasti, campanilismi. A Napoli, contrapposto al Naples di Poths nacque anche l’Internazionale. In seguito una prima fusione creò l’Internaples.
Ma il calcio a Napoli comincia a chiamarsi Napoli dall’1 agosto del 1926, quando nel ristorante D’Angelo si riuniroono dirigenti e calciatori per dare vita alla società.
I primi campionati del neonato club furono a dir poco fallimentari, tant’è che tra la tifoseria cominciò a prendere corpo un forte dissenso, che presto però secondo i nostri costumi si tramutò in satira. Sembra che un giorno in galleria Umberto, da un gruppo di tifosi partì la frase: ‘Sta squadra nosta pare ‘o ciuccio ‘e Fichella, trentatré chiaje e ‘a coda fraceta!
Il simbolo del Comune di Napoli era il cavallo rampante e il giornale satirico Vaco ‘e pressa riprese la voce popolare e lo trasformò ufficialmente in somaro per l’araldica del pallone napoletano.
Il 23 giugno del 1929 a Milano si trovarono di fronte le squadre Napoli e Lazio per uno spareggio: il vincitore avrebbe conquistato l’unico posto ancora disponibile per la massima serie.
Nella Galleria Umberto I, sotto il balcone del quotidiano Il Mezzogiorno, si era radunata una piccola folla per avere notizie immediate della partita. Felice Scandone, noto giornalista sportivo dell’epoca, collegato telefonicamente con Milano commentava dal balcone le fasi salienti dell’incontro, dal gol laziale di Spivach ai gol dei napoletani Sallustro e Innocenti fino al pari definitivo di Cevenini. Era la prima “radiocronaca” di un incontro di calcio.
Per lo spareggio fu decisa poi una nuova sede, Padova, ma fu inutile poiché decisero di allargare il campionato portandolo a 18 squadre.
Poi il Napoli Calcio e la città videro l’era fascista e la guerra e il campionato venne interrotto.
Al termine del conflitto mondiale la vita riprese laddove si era interrotta. Anche il Napoli cominciò a prendere forma. Arrivarono calciatori di grido, e i piazzamenti migliorarono sempre più tra una gestione societaria e l’altra.
Al timone del Napoli si alternarono diversi presidenti. Ne citiamo alcuni: il compianto Giorgio Ascarelli (che fece costruire uno stadio a sue spese), poi il padre padrone Achille Lauro, meglio noto come ‘O comandante. Lauro spese tanto, portò giocatori importanti e legò il suo nome ad un primato: la conquista della Coppa Italia e la promozione in serie A nello stesso anno. Ciò nonostante non fu mai amato dalla platea azzurra.
Poi Roberto Fiore, che fu artefice, con l’aiuto di Lauro, della nascita di un grande Napoli, che annoverava nel suo organico campioni come Omar Sivori, Josè Altafini e Faustinho Canè.
Ma i tempi non erano ancora maturi, e così, sebbene l’organico fosse all’altezza, lo scudetto per arrivare da queste parti si fece attendere ancora qualche anno.
Nel frattempo ‘O lione, al secolo Luis Vinicio, aveva smesso la casacca e appese le scarpette al chiodo e divenne l’allenatore di uno dei Napoli più spettacolari di sempre. La presidenza e la proprietà erano passate ancora di mano: al comandante succedette don Corrado Ferlaino, che come Lauro, nonostante i successi ottenuti e le cifre astronomiche spese – vedi Savoldi e Maradona – non entrò mai nelle simpatie dei napoletani.
Ma poi … E chi s’o ppo’ scurdà!… quel 10 maggio 1987, quando il Napoli vinse il suo primo, storico scudetto. La città impazzì, esplose in una bolgia d’azzurro e di striscioni caratterizzati dalla grande ironia del nostro popolo. Su tutti ne ricordo uno posto all’ingresso del cimitero di Poggioreale che recitava E che ve site perzo! Qualche giorno dopo apparve la risposta: E a vuje chi ve la ditto?!?
Quello che è successo poi dopo quella data lo sapete, è storia più o meno recente: altre gioie, un altro campionato vinto, una coppa Uefa (oggi si chiama Europa League), una Super Coppa di Lega e poi il lento declino fino alla morte per mano di curatele fallimentari, giudici e tribunali.
Il Napoli poi rinacque dalle sue ceneri, per riprendere una storia meravigliosa fatta di tanti aneddoti, curiosità e vita vissuta, nell’attesa che un pallone termini in rete …
Nel frattempo, però tanti auguri: buon 90esimo compleanno, Napoli!!!